Se c’è una cosa che mi ha sempre colpito degli Zen Circus è il loro modo di porsi nei confronti della realtà sociale. Assumono, infatti, un atteggiamento sempre molto chiaro, che le loro canzoni sanno descrivere attraverso una serie di personaggi con caratteristiche comuni e di situazioni quotidiane, che fanno parte della vita di ognuno. Come al solito, pensare di definire in poche parole il pensiero che ispira la produzione musicale di un gruppo, è una pretesa infondata, che rischierebbe di appiattire ogni complessità ad un livello di banale superficialità. Preferisco, piuttosto, rispolverare tre brani del loro repertorio che, secondo me, danno un chiaro spaccato delle loro idee.
Viva
È uno dei brani di maggior successo del gruppo, che esprime il rifiuto a ogni forma di perbenismo sociale. Nell’ultima parte della canzone, ad esempio, viene citata in chiave ironica una serie di principi, ideali e interessi a cui normalmente le persone si ispirano per condurre inerti la propria esistenza: viva l’Italia, viva la vita, viva la pace, viva la mamma, viva la pappa col pomodoro. Ne emerge un elenco secco, a testimonianza che ciò a cui viene inneggiato sia solo una parola che si ripete da anni, che suona bene sulla bocca della gente.
Si crea, quindi, una chiara opposizione: da una parte il quello che chiamano pezzentee dall’altra il gruppo di idiotiche, per sembrare attraenti, continuano a blaterare parole a caso sui massimi sistemi.
Andate tutti affanculo
Ci muoviamo sulla stessa scia tracciata da Viva, nel senso che anche questo brano attacca dei tipi di atteggiamenti diffusi nella società. Ciò che viene preso di mira sono il cinismo più bieco e posato, spesso forzato oltre la necessità; il diffuso bisogno di una svolta, che spinge le persone a trasferirsi nelle grandi città d’Europa, trascinando con sé le proprie paure e trasformando i propri piani in sogni di gloria; la critica che non riconosce la componente strettamente umana della produzione artistica; la rassegnazione a farsi fregare da chi è più forte e nasce vincente, e dalla sete di acquisti futili, come una macchina nuova, che conducono inevitabilmente l’uomo a rassegnarsi alla sua stessa morte, quale prova finale per eccellenza.
Ilenia
Nel videoclip musicale Ilenia è una giovane ragazza dai capelli neri che sfoga il suo istinto rivoluzionario sui timpani e i tamburi della sua batteria. Ma il suono rimane lì, intrappolato in quello strumento: non viene portato via dal vento, non raggiunge la piazza, che rimane vuota e silenziosa. Ilenia è, infatti, il prototipo del finto rivoluzionario, di chi vuole sovvertire il sistema seduto comodo sul divano del proprio salotto o davanti allo schermo di un computer. Ilenia aspetta la rivoluzione, senza accorgersi che questa scelta di non sceglierela porta a confermare lo status quo; cammina sui vetri, sì, ma con le scarpe e continua a compiacere chi dice di amarla, forse come semplice gesto di riconoscenza.
Ilenia è il carceriere impotente di quella stessa prigione da cui è sempre voluta fuggire.
Foto di Gianluca David