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Intervista e live report dal Mamamia di Senigallia

Il 27 aprile 2019 siamo stati al Mamamia con i Pinguini Tattici Nucleari. I sei giovani bergamaschi sono davvero forti, di quelli che hanno studiato e lo percepisci. I testi dei loro brani sono densi come delle sceneggiature, hanno la capacità di descrivere intensamente situazioni reali, di far viaggiare con la fantasia con racconti surreali, insomma sanno far sorridere tanto quanto riflettere. Le parole si appoggiano su melodie sorprendenti, una fluttuante contaminazione di generi, in cui si alternano indie-rock, folk, dance, con linee di basso, assoli di chitarra e giochi di tastiere che nulla hanno da invidiare a chi ha più anni sul campo di loro.

Noi di Staradio eravamo sicuri che avrebbero avuto un gran successo di pubblico, perché li conosciamo bene già da tempo. Al Fool Festival, nell’estate del 2017, li abbiamo invitati a giocare a ruba-bandiera con i Camillas ed Asia Ghergo. Insomma, abbiamo stretto con loro un rapporto di estrema simpatia, che ci ha spinti a partecipare al loro concerto di sabato con grande entusiasmo.
Qui di seguito vi vorremo far capire perché vale la pena vederli e sentirli, convinti che siano capaci di lasciarvi un segno.

Il concerto di Senigallia è stato un susseguirsi di ritmi, balli e cori, in un continuo interscambio di energia che dal palco scendeva tra la gente: il pubblico è stato da subito reso protagonista della serata, inondato da coriandoli multicolor prima e bianchi poi (nella suggestiva nevicata di “Sciare”) e infine maneggiando gli ortaggi che sono stati distribuiti durante il pezzo “Verdura”. La scaletta, ben strutturata nel suo alternare il nuovo e i ‘vecchi’ lavori, è stato un vero e proprio viaggio, che é passato in Antartide (patria da cui è venuto a trovarci un pinguino gigante) ed ha toccato anche l’estremo oriente, quando Riccardo, Elio e compagni hanno indossato i variopinti Kimono di “Sashimi”.

Speriamo di avervi fatto capire quanto i Pinguini Tattici Nucleari siano stati coinvolgenti sul palco, ma vero è che anche fuori sono super disponibili. Infatti, oltre a ricevere i fan a fine esibizione al banchetto del merchandising, non si sono risparmiati neanche quando li abbiamo intervistati, proprio per farveli conoscere meglio. Il portavoce di tutti, ovviamente, è stato Riccardo, frontman del gruppo.

Se non sbaglio, qui era con i Camillas ed Asia Ghergo. Ricordo che abbiamo fatto una partita a bandierina. E la mia squadra vinse: ero con Mirco dei Camillas

Una domanda generale: parlaci un po’ di voi e di come nasce l’idea dei Pinguini Tattici Nucleari.

Nasce forse non proprio tra i banchi di scuola, perché frequentavamo tutti scuole diverse, però nasce comunque in quel periodo, alle superiori. Ci conoscevamo un po’ per sentito dire, anche se venivamo da diverse parti di Bergamo: la scena non è molto grande a Bergamo. Abbiamo deciso di fare questa band perché ognuno voleva far parte di un progetto in cui ci fosse estrema libertà, in cui non ci fosse niente di scritto. Infatti, i primi live li facevamo quasi improvvisati: doveva essere un passatempo e basta; poi, invece, è diventata una cosa un po’ più seria.

Nel brano ‘Irene’, dal vostro penultimo progetto, lei è innamorata di un musicista che non può garantirle un futuro. Come descriveresti la condizione di chi oggi vuole dedicarsi alla musica?

È molto difficile, secondo me, entrare in questo mondo e riuscire a vivere di musica. Io, personalmente, ho dedicato interamente la mia intera vita e formazione alla musica per riuscirne a capire anche solo un briciolo. Il problema, forse, è che si è spesso portati magari a dare colpa a qualcosa che è fuori – il sistema e via dicendo – quando, invece, in Italia non abbiamo così tanta educazione alla musica, già partendo dalle scuole. È qualcosa che io, che ho studiato anche in Inghilterra, non ho riscontrato così tanto. Quindi, tanta gente non si trova con gli strumenti per poter farne una carriera, a meno che la famiglia o la loro autodeterminazione non incidano su loro già fin da piccoli. Uno non può trovarsi a diciotto anni a decidere di fare il musicista: è una carriera molto difficile. Per farlo davvero, devi iniziare in tenerissima età. Quindi, è difficile, però secondo me le cose possono cambiare. Soprattutto adesso sta andando tutto bene: la musica sta funzionando, il live sta funzionando; così forse tanta gente vorrà dedicarsi a questa carriera ancora di più.

Parliamo ora di gavetta, parola che detta a voi è quasi anacronistica e contraddittoria perché avete tutti un’età media molto bassa e una capacità di esecuzione molto alta. “Il concorso musicale”, ad esempio, ha una finezza di arrangiamento alla Elio e le Storie Tese, da maestri di conservatorio. C’è molta precisione e alternanza di melodie e strumenti. Da dove nascete, dove vi siete formati? Anche per lanciare un messaggio ai giovani che vogliono dedicarsi alla musica.

Io ho sempre studiato da privatista e poi ho frequentato l’università alla Westminster, che si chiama “Commercial music”, appunto. Diversi fra di loro fanno conservatorio, altri hanno fatto scuole specifiche per la chitarra elettrica, perché a conservatorio non è così semplice con la chitarra elettrica. Abbiamo in qualche modo tutti studiato, tranne Elio, lui è talento puro.

Una simpatica curiosità anche per i nostri seguaci del web: a proposito di “Verdura”, quale ortaggio vi piace mangiare? Sono escluse patate fritte e olive ascolane, perché non valgono.

Ti direi che i peperoni ci piacciono a tutti. Roba forte.

Con il vostro stile anni ’80, dalle foto sembrate un po’ il gruppo di “Smetto quando voglio”, il film di Sidney Sibilla con Edoardo Leo e Pietro Sermonti: questa banda un pochino sfigata. A livello di immagine, vi ritrovate con questo riferimento?

Siamo dei nerd prestati al rock ‘n’ roll, hai fatto un buon esempio con quel film lì. Nessuno di noi pensava di fare questa carriera e ci siamo trovati lì ad un tratto. Ci siamo trovati molto bene, anche se magari non siamo i tipici machi da giostre di paese, ma dei pesci fuor d’acqua.

La crescita dei fan, come la vivete?

Fa molto piacere. Adesso siamo in un tour in cui, avendo raggiunto dei numeri ingenti, c’è tanta gente nuova. Più della metà delle persone ai nostri concerti è nuova: significa che abbiamo fatto un bel lavoro con l’ultimo album.

Avete mai avuto la tentazione del palco di Sanremo o di una vetrina più a largo specchio?

Capiremo. Nel senso che non ci stiamo ancora pensando. Quello su cui ci concentriamo ora è il tour e l’estivo. Poi capiremo dopo. I tempi della discografia e della musica in Italia sono molto stretti: non c’è mai tempo per progettare.

Avete un genere veramente singolare, però al tempo stesso siete notevolmente e piacevolmente contaminati da tantissime influenze: avete la dance in “Sashimi”, il reggae in “Me want marò back”. A volte avete un’ironia alla Ruggero de I Timidi nei vostri testi. Da che cosa siete bombardati?

Da tutto, non abbiamo mai messo freno a niente. Siamo onnivori. Tutti hanno degli ascolti diversi nella band. Di conseguenza, anche se le canzoni le scrivo io a livello testuale e musicale, loro mi fanno conoscere cose nuove, che poi cerchiamo di mettere dentro. Nella saletta prove, io chiedo pareri a loro che sono profondi conoscitori di generi totalmente diversi: rap, folk… E mettiamo insieme queste influenze completamente diverse.

Cosa fai per la memoria? Si fa fatica a scandire bene le parole e a tenere il ritmo come fai tu.

Io non ho minimamente memoria. Sulle canzoni è un po’ più semplice, avendole scritte. Però, una canzone di un altro artista non saprei cantartela. Questo vale anche per i Queen, che ho ascoltato da una vita.

A livello straniero, quindi?

Queen, Coldplay, Kooks, Strokes, Artic Monkeys. Forse gli Strokes sono il mio non-plus-ultra. Non avendo io memoria, ci troviamo spesso in sala prove per provare, provare e provare. Per questo tour abbiamo fatto un mese di prove senza nemmeno un giorno di pausa. È un lavoro abbastanza duro.

Si percepisce anche la vostra influenza irish, come in Lake Washington Boulevard, in Bagatelle…

Assolutamente. Più che altro folk, ti direi in generale. Quello viene tanto da Elio, ad esempio.

La nostra regione, le Marche, la conoscete?

Abbiamo suonato un po’ di volte. Non ci siamo venuti spesso nella vita. Sai, noi andiamo al lago, in posti vicini a casa nostra. Ad esempio, “La banalità del mare” è una canzone da nordico, di uno che vorrebbe andare al mare più spesso ma non ce la fa. Poi non ho avuto mai veramente il tempo di fare vere vacanze, le ho sempre fatte con la famiglia, perché poi in quinto superiore sono andato su a Londra, quindi non ho più fatto viaggi. Il mio viaggio era stare su per quattro anni e mezzo. Però quando siam venuti è stato sempre molto carino.

Poi noi di Staradio vi abbiamo sempre accolto! Mi commenti queste foto in sequenza? (gli mostriamo immagini di uno splendido pomeriggio trascorso a Morrovalle durante il Fool Festival 2017)

Questo momento, se non sbaglio, era con i Camillas ed Asia Ghergo. Infatti, ti stavo dicendo che la prima volta che siamo venuti probabilmente era questa.

E qui ricordo che abbiamo fatto una partita a bandierina. E la mia squadra vinse: ero con Mirco dei Camillas. Non abbiamo avuto il tempo di fare nessun bagno. Non c’è mai tempo in tour.

Live report e domande di Silvia Remoli
Foto Pinguini Tattici Nucleari di Silvia Remoli
Foto al Fool Festival 2017 di Gianluca David

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